Gli incidenti degli Anni ’60-’70 hanno ispirato le tecnologie odierne.
Il segreto non è costruire una macchina indistruttibile. Il segreto è costruire una macchina che si distrugge, se necessario, nel modo giusto. Andrea #Pontremoli, CEO di Dallara – eccellenza italiana che da anni costruisce le vetture per la IndyCar – lo ripete spesso. Non è uno slogan: è la filosofia alla base di ogni auto da corsa moderna. Il caso di Tony Kanaan lo dimostra. Collisione frontale contro il muro a oltre 400 km/h. L’accelerometro montato sul telaio segna un picco mostruoso di 226 g. Ma l’unico dato che conta davvero sono i 16 g registrati dai sensori collocati nelle cuffie del pilota, all’altezza della testa. Perché è lì, nel cuore della cellula di sopravvivenza, che si misura il vero successo della macchina.
La sicurezza nelle corse, però, ha radici drammatiche. Negli anni Sessanta e Settanta, gli incidenti erano spesso mortali. Le scocche rigide e l’assenza di zone deformabili facevano delle vetture delle gabbie d’acciaio senza vie di fuga. Piloti leggendari sono morti non per la velocità, ma per l’impossibilità di dissipare l’energia dell’impatto. È da quelle tragedie che nasce la rivoluzione della sicurezza. Oggi le auto si deformano per salvare la vita di chi le guida. E questo cambiamento ha contagiato anche le strade.
Il corpo umano ha limiti ben precisi. A livello di 1 g siamo nella normalità, il nostro peso corporeo, seduti sulla nostra sedia è sottoposto all’accelerazione di gravità standard di.9,81 m/s2 . A 23 g, si è sottoposti ad una accelerazione 23 volte quella di gravità, le ossa si fratturano. A 35 g il rischio di danni permanenti agli organi è altissimo. Sopra quella soglia, ogni singolo g in più è una minaccia alla vita. Ecco perché è fondamentale che quella violenza venga rallentata prima di raggiungere il pilota.
Dissipare energia
Tutto ruota intorno a un principio fondamentale: dissipare energia. Una macchina da corsa è progettata per disintegrarsi, quando richiesto e in modo intelligente. Ogni zona – il muso, le fiancate, il retrotreno – ha una funzione precisa: assorbire energia tramite deformazione. È un processo controllato, scientifico, calcolato in ogni dettaglio.
L’energia cinetica, data dalla formula E = ½ m v² [E= energia cinetica in Joule, m=massa in kg, v = velocità in m/s, metri al secondo], cresce in modo esponenziale con la velocità. A 400 km/h l’energia in gioco è enorme, troppo perché il corpo umano possa gestirla da solo.
La chiave è prolungare il tempo dell’impatto, riducendo così l’accelerazione che arriva al pilota. La formula, F = m a [F=forza in Newton, m =massa in kg, a=accelerazione in metri al secondo quadrato], ci ricorda che più tempo impieghiamo a fermare la macchina, meno forza riceve chi sta dentro. Essendo l’accelerazione la variazione della velocità nell’unità di tempo : (V0 – V) / s, nel passaggio da 400 km/h a 0 km/h, maggiore è il tempo necessario per arrestarsi, minore sarà la decelerazione subita dal pilota.
Ma tutto questo non succede per magia. È il frutto di anni di ricerca, sviluppo e test. Dietro ogni monoscocca in carbonio c’è un universo di simulazioni, modelli matematici complessi, studi sui materiali, crash test virtuali e fisici. Dallara investe costantemente in software che simulano migliaia di scenari di impatto. I loro ingegneri modellano ogni componente come se fosse un pezzo di un puzzle che, nel momento critico, deve rompersi seguendo un ordine preciso. Quando il pilota esce dall’abitacolo “sulle sue gambe”, quello non è un miracolo: è il risultato di ogni singolo calcolo fatto mesi prima.
Le stesse logiche ingegneristiche applicate in pista si ritrovano nelle auto di tutti i giorni. Le city car, le berline, i SUV: tutte sfruttano strutture a deformazione programmata, scocche che proteggono l’abitacolo e tecnologie sviluppate nel motorsport. La pista è un laboratorio estremo. Quello che funziona a 400 km/h funziona anche a 60 km/h. Non è un trasferimento automatico, ma una contaminazione continua tra il mondo delle corse e quello dell’uso quotidiano.
Un’auto da corsa che si disintegra non ha fallito. Ha fatto il suo lavoro. Ha rispettato un piano scritto con numeri, simulazioni e mesi di studio. Quando il pilota “cammina via”, vuol dire che tutti quei calcoli erano corretti. Che ogni vite ha ceduto dove doveva. Che ogni strato di carbonio ha reagito come previsto. In un mondo dove la velocità è tutto, la vera vittoria è poterle sopravvivere.